[Por Claudia Giannotti* – Traduzione: Gaia Giannotti, di Roma]

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Foto di Celia Aparecida , il Senge , in una mostra a Cinelandia .

Proprio ora sono su un aereo di ritorno da Rio de Janeiro, dopo una giornata di lavoro a Goiânia, insieme al mio collega Arthur William. Non avrebbe dovuto essere così. Avrei dovuto essere a casa, molto arrabbiata con Vito per aver trascorso un altro fine settimana lì da sola, mentre lui attraversava i cieli del Brasile per dire ai lavoratori che un partito senza giornale è come un esercito senza armi.

Era instancabile. Non diceva mai di no. Ha trascorso ore negli aeroporti. Adorava stare nel Maranhão, nel Rio Grande do Norte, nel Sergipe, nel Pernambuco, nel Piauí, nel Ceará, con tutta la gente delle cinque regioni brasiliane.

È sempre stato così. In ogni viaggio la scena si ripeteva. Prima io cadevo in lacrime, poi subito dopo ero felice di sapere quanto importante fosse la nostra lotta.

Mi chiamava sempre al telefono. A volte ero brava, condividevo con lui la felicità di essere compagni e di contribuire alla lotta di classe. Altre volte, quando mi chiamava, ero triste perché lui non era lì con me.

Ma quando tornava a casa dimenticavo tutto, ero felice e contavo i giorni in cui saremmo rimasti insieme a Rio de Janeiro. Erano i giorni più felici della mia vita. Dormire e svegliarmi accanto a lui. Parlando sempre. Gli dissi: «Quando saremo vecchi forse non faremo più l’amore, ma avremo sempre qualcosa di cui parlare».

Non eravamo sempre d’accordo, politicamente. A volte ero la più radicale, a volte lo era lui. Diceva sempre che io pensavo con la testa del Partito Comunista. La mia testa non era solo del Partito Comunista Brasiliano. Nei 20 anni che ho trascorso nel Central Ùnica dos Trabalhadores (CUT), mi hanno insegnato a vivere in armonia con tutte le forze politiche di sinistra.

Vito ha sempre sostenuto il Núcleo Piratininga de Comunicação che abbiamo fondato insieme nel 1994, subito dopo esserci incontrati. Questo progetto è piaciuto molto a Vito. Un uomo di ampie vedute, lettore di Marx, Lenin, Trotsky, Rosa, Alexandra Kollontai, Gramsci, Bordiga, Wilhelm Reich, Heleieth Saffioti, Étienne de La Boétie, Angelo Gaiarsa. Autore di più di trenta libri sul sindacato, sui lavoratori, sulla comunicazione e sulla storia delle lotte operaie in Brasile.

Era un femminista e sosteneva che l’oppressione dell’uomo sull’uomo è cominciata con l’oppressione dell’uomo sulla donna.

Critico nei confronti del modello capitalistico della famiglia, ma estremamente legato ai figli Andre, Taiguara e Luisa. Fautore e praticante della rivoluzione sessuale. Essere sua moglie, come lo sono stata io per 23 anni, è stata la cosa più bella del mondo. È stato un uomo generoso, attento al piacere della compagna.

Ha vissuto la seconda metà dei suoi cinquant’anni istruendo con passione i lavoratori brasiliani: ha insegnato loro a parlare, scrivere e graficizzare, utilizzando foto ed illustrazioni. Camminava in mezzo a tutte le forze politiche della sinistra in Brasile con grande generosità ed armonia. Come egli stesso ha detto: «Dal rosa al rosso sono tutti miei amici. I nostri nemici sono i padroni, gli Stati Uniti e la TV Globo». Ed è contro questi tre che ha combattuto politicamente.

Vito ha creduto nella persuasione. «Vuoi fare la rivoluzione?», gli chiedevo. «Certo che voglio, ma prima dobbiamo convincere molte persone», mi rispondeva. Così abbiamo creato insieme il Núcleo Piratininga de Comunicação, un’organizzazione non governativa creata al fine di favorire la comunicazione dei movimenti sociali e di sindacati e poi, nel 2012, la libreria Antonio Gramsci.

Il MST era il suo partito. Ogni settimana, coerentemente al suo pensiero, ha distribuito il giornale Brasil de Fato, fino al 23 luglio. Morì il 24.

Vito è sempre stato un compagno amato e rispettato. Eera in prima fila a condurre le truppe. Solidale, rispettoso, coraggioso, ha lottato sempre con amore e gioia. Per lui, compagni come Neto, Paulo Cézar, Raimundinho e Cicero di Crato e molti altri, sono stati capaci di tutto. Oggi, i suoi compagni piangono la scomparsa del loro fratello maggiore.

Quando lavorò nelle fabbriche di San Paolo, venne perseguitato dai datori di lavoro. Era la dittatura. Fu arrestato dal Dipartimento di politica e ordine sociale (DOPS), perché coordinatore del movimento sindacalista degli operai. Per questi fatti, nel 2011, Vito venne amnistiato. Dopo aver ricevuto il risarcimento, rinunciò immediatamente allo stipendio del Nùcleo Pirantinga de Comunicação. I soldi del risarcimento gli permisero un trattamento sanitario decente nel suo ultimo anno di vita.

La baraccopoli di Rio

Dopo 10 anni a Rio de Janeiro, combattendo, scrivendo, insegnando, e partecipando a molte manifestazioni, scoprì le baraccopoli di Rio. Fu subito dopo il “massacro di Borel”, em 2003. Insieme abbiamo organizzato dei corsi popolari con la NPC e la nostra vita è cambiata. Non avevamo più solo amici intellettuali e sindacalisti. Abbiamo iniziato a condividere la nostra vita con i giovani di ogni parte della città.

Portò una boccata d’aria fresca nella baraccopoli carioca, con il suo cibo, la sua musica, la sua gioia  e il suo dolore, frutto della violenza contro la popolazione.

Poi s’innamorò della musica funky di MC Leonardo e del Mano Teko, di quella hip-hop del rapper Fiell e dei Bonde da Cultura. Anche della samba di Marina Iris, Tomaz Miranda, Manu da Cuíca, e della chitarra a 7 corde di Maurice Massalunga “il giapponese”, come lo chiamava lui.

Lesse il libro del giornalista e politico Benjamine Cid, Gracias a la vida e, nel carnevale del 2014 volle incontrare il gruppo di samba Barbas.

Gli rimaneva poco tempo da vivere quando riuscì a capire il pensiero della sinistra di Rio de Janeiro.

Vito adorava il carnevale e i suoi gruppi di samba. Era giovanile, gioioso, passionale e con un pensiero fisso: l’andamento della politica in Brasile e nel mondo. Le vittorie della destra lo facevano stare male. Malissimo. Gli ha piaciuto la vittoria elettoral di Lula, Correa, Evo, Cristina, Chavez; Dilma e Mujica. Sorprendentemente provava una profonda ammirazione per la Presidente Dilma Roussef; pur essendo in disaccordo politicamente, ammirava sua biografia e come donna forte e determinata.

Improvvisamente tutto cambiò. Dopo aver accusato un paio di volte dei giramenti di testa, il suo cardiologo gli consigliò di fare degli accertamenti. Il risultato fu: aneurisma cerebrale. Così, nel maggio del 2014, ci crollò il mondo addosso. Fu un periodo di alti e bassi. Dovette essere operato. L’operazione fu un successo, considerando che era un paziente affetto da aritmia cardiaca, in cura con farmaci anticoagulanti. Festeggiammo l’arrivo del 2015. Eravamo più che mai vivi, felici ed innamorati.

Non avevamo dubbi, era tutto passato.

Fino a quando, il 23 luglio, Vito mi accompagnò in aeroporto e mi comprò un caffè. Raramente tenevo corsi senza Vito. Anche se in aule diverse, eravamo sempre nello stesso posto. Quel giorno stavo andando sola. E sono andata.

Le ultime parole che gli dissi sono state: “Come faccio a vivere senza te per quattro giorni?”

Non ho intenzione di vivere un giorno senza te, amore mio. Insieme ai nostri figli Luisa, Sheila, Marina, Gustavo, Eric, Tatiana, Lidiane, Raquel, Alan, Renata, Augusto, Arthur, Fiell, Julião, Gizele, Rita, Pablo, Camila, Katarine, Matheus, Katia, Mario, Najla, Rosângela, Well  e molti altri, non restaré un giorno senza di te.

E tu non morirai mai. Ho intenzione di parlare di te a tantissima gente, così che la tua storia venga conosciuta in tutto il mondo come una storia di rivoluzione, solidarietà e di gioia. La storia di un uomo che verrà ricordato per sempre.

*Claudia Giannotti é moglie e compagna de Vito Giannotti